mercoledì 30 aprile 2014

Uno

La cosa che non le è mai andata giù di dove erano andati a vivere è la dimensione spropositata del comprensorio. Non una normale palazzina, e nemmeno un palazzone.
Una costruzione gigantesca, di quelle in stile anni '70, teorizzate da esimi architetti per ospitare quasi intere comunità. Col risultato che non si riesce mai ad andare oltre la conoscenza del vicino di casa, sempre fin quando quello non decide di trasferirsi e si ricomincia da capo.

Tutti estranei dunque.
E ti resta solo la tua famigliola. Tra quattro mura, il tuo part-time, si esce la mattina, si rientra il pomeriggio, si va a prendere la bimba all'asilo e si aspetta che torni lui, la sera.

In questa routine, che all'inizio rassicura, che ti fa vedere l'appartamento in cui vivi come un traguardo, mentre arrivi, poco alla volta si insinuano le crepe.
Perché tu neanche te ne accorgi, ma nell'inconscio iniziano a lavorare delle forze oscure che scavano piano ma senza sosta.
Arriva un giorno che ti accorgi di essere ad un passo dalla depressione, ma sei solo molto triste, molto frustrata. La vita di coppia non è come quel sogno di emancipazione, libertà e gioia che ti eri costruita nella testa per lunghi anni.
Per carità, stai bene. Non ti manca niente. Almeno così pare.
Eppure inizi a volere qualcosa. Quella cosa che non sai, ma che deve rompere la routine. Hai cercato per tanto tempo la serenità e, invece, adesso vuoi l'inquietudine, il dubbio.
E sai che non sei madame Bovary, non te ne frega niente del lusso e della mondanità.
Il cervello ti corrompe, e userà il corpo per raggiungere i suoi scopi.

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